martedì 8 dicembre 2015

The Social Tycoons - Prologo

Quella mattina Rossi non aveva veramente voglia di andare a fare il sopralluogo. Iniziava a fare freddo e poi lui quella gente lì proprio non la sopportava. Sempre vestiti in giacca e cravatta. Sempre che loro lavorano solo loro. Sempre con macchine che non hanno rispetto della gente vera, quella che le case le sa fare perché le ha sempre fatte. Mica quei minchioni figli di papà che giocano coi soldi ma di fare una roba che sta su non sono capaci.

Si accese una sigaretta così, per ammazzare il tempo. Non sapeva che fare, perché i minchioni erano sempre in ritardo. Mentre lui aveva lavorato una vita e le otto sono le otto, le dieci le dieci. Così iniziò a fare quattro passi intorno all'area.

Certo non era una bella zona quella. Non c'era niente. Come pensassero questi di riuscire a darle via, poi, le case, lo sapevano solo loro.
Questo è un quartiere industriale. Non c'è niente intorno. E questi vengono a fare solo residenza. Ma chi cazzo le compra. Proprio hanno i soldi da sbattere. Mentre fumava fuori dai polmoni questi pensieri, vide una macchia nera, un'ombra lungo la cesata in fondo a Via Mandelli. Strano perché quello era integro fino a pochi giorni fa. Ma forse i metronotte hanno intensificato i giri dopo gli ultimi furti di rame e così i soliti drogati si saranno aperti un'altra via. O quegli altri. quelli che sparano con quei fucili strani.

In effetti, negli ultimi anni tutti i cantieri abbandonati, le caserme, gli immobili pubblici inutilizzati e così via erano diventati teatri di rave party o di battute di soft air. Una volta avevano dovuto chiamare la polizia, Rossi con uno di Cassa Depositi e Prestiti che erano andati a vedere una caserma e c'erano dentro ancora quattro ragazzi ubriachi con tutte le attrezzature e le casse per la festa che avevano fatto. D'altronde tre giorni era durata. Avevano fatto un casino questi che tutti se n'erano accorti che erano lì. Vabbè, ragazzi, ragazzacci, ragazzate. Io con Flavio a vent'anni pensavamo ad altro. Ma erano altri tempi.

lunedì 7 dicembre 2015

San Lorenzo

Piccole foglie
germogliano
nel silenzio della notte
e tu scopri
sconosciute alchimie
ormai tue
e sai
quanto d’immenso
si perde
in una goccia di rugiada,
ricordo di stelle
e desideri bambini.

Dorme il nostro amore

Dorme il nostro amore leggero
Sulla sabbia dove è scritta
La storia appassita di un incontro
Durato tante vite.
Il mare culla
Questo tramonto che langue
Ed infinito è il pianto
Delle sirene ormai smascherate.
Ma tu non piangere, invece,
Perché da questo sonno
Mai si risveglia
Ed inutilmente
Si perde
La lacrima versata
Nel moto perpetuo
Dell'acqua mai stanca.
No, tu non piangere:
È solo illusione
Questo dolore
Che trafigge il respiro.
Domani ti accoglierà
Uno sguardo vivace
E a lui finalmente tributerai
Baci e carezze e un'ora d'amore.
E forse saprete
Giocare a rincorrervi
Ancora nei prati
Che sanno di miele.
E lì con te
Di nuovo bambino
Lei ti vorrà
Dove tu non cedesti.
Ma cederai
E grilli e cicale
Saluteranno per te
- troppo intento ad amare -
Un fragile sole
Già pronto a svegliarvi
Tra gli alti papaveri
Di un mondo che è tuo.

Bambino mio

Seduta
Nella malinconia di un ricordo
Lo rigiro tra le dita
Come fossero capelli.
Sdraiato
Sul pavimento di legno
Muove senza tregua
Il suo piccolo treno.
Rapito
Dentro a un moto infinito
È la sua vocazione
Contemplare quel nulla.
Sto
Appallottolata in un angolo
A godermi la pace
Di questa condanna.
Invoco
Un verdetto già noto
Che mi proietta tra ombre
Di un mondo mai visto.
Osservo
Un carillon beffardo
Che ostenta normalità
Fermo sopra il suo letto.
Speravo
Di essere madre
Come tutte le madri
Ma non è il mio destino.
Vuota
Come un sacco di juta
Vuota come il suo sguardo
Sono lacrime e rabbia.
Oscilla
Fisso nel suo silenzio
Ora dondola piano
E così m’ipnotizza.

Ulisse

Il mio nome
Chiamato a gran voce
È scritto su tutte le vetrine deserte
Delle città invisibili
Che attraversi nel tuo viaggio.
Lo chiami nostalgia
Quel lamento che invoca
Ciò che hai già avuto
E così facendo
Di sola attesa si compone
Il tuo futuro mai sazio.
E tu prosegui il tuo viaggio
Senza tregua.

La trebbia

Lontano, nel buio,
Ai confini del bosco,
C'è ancora il rumore
Del grano trebbiato.
Da sopra la loggia
Le luci giù al fiume
Ci mostrano i campi
Strappati alla notte.
E quando ritorna
Dall'ultima pesa
Cerchiamo un indizio
Nei suoi occhi stanchi.
Sorride a mia madre
(Lei sola lui cerca)
E indugia in attesa
Di un gesto d'amore.
La festa è finita
E gli uomini piano
Si son ritirati:
Non c'è più nessuno.
Domani mattina
La corte - oggi viva -
Sarà abbandonata
Dagli ultimi mezzi.
Ma adesso in cucina
La pentola bolle
E lui fischiettando
Prepara la cena.

Notturno

È scesa la notte
Ma tu non riposi.
Ascolta!
Senti il silenzio del suo dormire.
Guarda!
Osserva il profilo dei tetti nel cielo.
A te non tocca il sonno del giusto,
Ma la sua veglia.
Il tempo che ti è prescritto
È nero di buio e di stelle.
Ti porta lontano il rumore
Delle ruote di un'auto bagnata
Da questo inverno caparbio,
Che non sa di dover finire.
Arriverà un'estate tardiva
Ad asciugare i tuoi panni lavati.
Ad accarezzarti il volto bambino
Sarà la luce di un sonno al mattino.
Respira!
Annusa la polvere del tuo balcone.
Cammina!
Misurala a passi questa stanchezza.
Ma non riposare.
È scesa la notte.

Infanzia

Sento ancora l’altalena che raglia
nel profumo del glicine in fiore.
Sento ancora quel canto, bambina,
di una voce che impara a volare.
Che le rose potessero pungere,
ma non certamente le tue…

Ora scopri di quanto sbagliavi,
anche se non capisci perché.
Ma il profumo del glicine ancora
fa sentire quel canto lontano
e cigola nella mente il ricordo
di un dondolìo senza posa.