Prenderò spunto da una definizione di “disegno” e di
“disegno tecnico” che ci offre l’Università degli Studi di Perugia, nelle sue
dispense a cura del prof. Francesco Bianconi, giusto per capire di che cosa
stiamo parlando. Ci sono comunque migliaia di definizioni, tutte parimenti
valide.
Il disegno è una rappresentazione bidimensionale, per mezzo
di linee e segni, di un oggetto reale o immaginario.
Il disegno tecnico invece è uno strumento che permette,
attraverso un insieme convenzionale di linee, simboli ed altre indicazioni, di
fornire delle informazioni sulla funzione, sulla forma, sulle dimensioni, sulla
lavorazione e sul materiale relativi ad un determinato oggetto.
La differenza principale tra disegno artistico e disegno
tecnico è che il primo è una forma di comunicazione, il secondo uno strumento
per la trasmissione oggettiva di informazioni.
Questo tipo di schematizzazioni è utile al fine di generare delle categorie che
effettivamente sussistono o per lo meno possono sussistere. Siamo circondati da
disegni tecnici senza neanche accorgercene. Basta che andiamo ad Ikea per
comprare un mobile ed avremo un libretto di montaggio, seriale, arido, che con
segni grafici poco fraintendibili ci guida passo passo nella costruzione della
nostra scaffalatura. Certo, guardando queste immagini, non ci verrebbe mai in
mente di metterle in cornice e regalarle al nostro amato. Nessuno di noi,
tuttavia, dovrebbe mostrare particolari dubbi nel seguire le procedure di
montaggio. In linea di principio, quindi, possiamo dire che ci aspettiamo da un
disegno tecnico che sia asciutto, privo di colore, con una quantità di
informazioni scritte minima ma mai completamente assente (perché integrano le
informazioni puramente grafiche) e soprattutto tendenzialmente indecifrabile.
Già. Tecnico. Quindi per tecnici. Nell’affascinante distinguo in cui riduciamo
tutto nella nostra vita, o facciamo parte di una qualche categoria di tecnici,
o quel disegno non è per noi. Infatti, su Facebook o in generale sui social
network è consueto trovare la frustrazione di persone che non sono riuscite a
montare la loro scaffalatura.
Guardiamo ad un altro disegno tecnico e vediamo se
effettivamente è così neutro dal punto di vista delle emozioni che trasmette.
Leonardo da Vinci secondo me non voleva essere ricordato
come quello che ha dipinto il cenacolo o la Gioconda: lui era un ingegnere
cresciuto in bottega, uomo – come si diceva tempo fa – di pratica e di
grammatica.
Non
è dunque necessario scomodare il suo uomo rinascimentale, presente come stampa
in tanti studi ed in tante case qua e là nel mondo, per capire come un modello,
una rappresentazione tecnica possa essere ricca di fascino, d’ingegno e di
bellezza. Tutt’altro che arida, insomma.
Se saltiamo in un altro campo, la moda, è assolutamente
interessantissimo guardare come l’intuizione del grande stilista (che per lo
più è un grande artista) si trasformi pazientemente attraverso successivi
passaggi fino al cartamodello dell’abito.
L’eleganza regale che esprime e la chiarezza del disegno
permettono contemporaneamente di considerarlo come un’opera d’arte ed una
efficace indicazione di natura sartoriale sulle stoffe, sulle passamanerie e
sui corredi che fanno di una mise,
appunto, un’opera d’arte.
Attraverso la sua intuizione artistica ed i suoi canoni di
bellezza, tuttavia, con i suoi figurini l’artista può ovviamente rappresentare
anche realizzazioni prêt-à-porter:
abiti, tailleur, cappotti o mantelle
pronti effettivamente a tradursi poi in cartamodelli, per i quali basta cercare
da un giornalaio un po’ fornito una rivista di moda, dove vengono riprodotti
abiti “tipo” qualcuno o “tipo” qualcosa.
Ad esempio, vediamo la differenza tra un modello Chanel
realizzato ed il suo cartamodello.
Lo avreste
riconosciuto guardando solo il disegno “tecnico”? Forse, effettivamente, no.
Perché il disegno tecnico è un’astrazione, un modello o secondo Claude
Raffestin, “un sistema coerente di dimenticanze” che necessariamente enfatizza
alcuni aspetti per trascurarne completamente altri.
Allora questo ci porta a fare alcune considerazioni che
prima di riguardare la distinzione tra disegno artistico e disegno tecnico si
concentrano a monte, nella differenziazione tra arti pure ed arti applicate,
che solo dopo si traduce in una diversificazione tra tipologie di
rappresentazione (e non solo necessariamente grafica).
Ad ogni modo, ciò che è giusto tenere in considerazione è
che nell’uno e nell’altro caso non si può cedere all’”improvvisazione
ignorante”: è in grado di improvvisare l’artista che alle spalle ha
tendenzialmente una conoscenza delle tecniche che non lascia spazio al vuoto.
Esistono certo delle eccezioni a questa regola, ma in quanto eccezioni sono
poche persone a rappresentarle e statisticamente è bassa la probabilità che
siamo proprio noi. Almeno questo per certo riguarda me. La curiosità ha
sostituito il talento naturale e leggere e studiare, guardare filmati,
intervistare tecnici ed artisti mi ha permesso lungo l’arco di una vita intera
di accumulare un bagaglio di conoscenze senza a volte neanche rendermene conto.
La distinzione tra arte pura ed arte applicata
tendenzialmente sta nell’intenzione insita nella rappresentazione. Perché
stiamo facendo questo disegno? Chi lo deve usare? Come? Quanti pezzi voglio
produrre? In quale contesto dovrà stare? Paradossalmente, ma neanche troppo, la
costruzione di un’opera d’arte non appartenente alla sfera bidimensionale della
rappresentazione grafica passa sovente quasi necessariamente attraverso una
rappresentazione grafica di tipo tecnico. L’opera d’arte è la cupola del
Bernini di Firenze, di Brunelleschi a Roma. Eppure hanno sudato questi
architetti a tradurre su carta le loro idee – talvolta incredibilmente
innovative – per portare le maestranze ad eseguire ciò che loro avevano in
mente.
Diciamo dunque che in generale, chi vuole vivere una vita
artistica nel campo delle arti visive dovrà – secondo me – conoscere le regole
sia della composizione sia del disegno tecnico e soprattutto dovrà conoscere
almeno l’esistenza delle diverse tecniche, a partire dalla matita, attraverso
tutte quelle tradizionali per finire con quelle più innovative e con gli
strumenti soliti o più tecnologici, come i programmi CAD o di fotoritocco. Non
devi necessariamente avere un computer o una tavoletta grafica per essere un
buon acquarellista, ma il mio consiglio oggi è che prescindere dalla tecnologia
ti taglia fuori dal mondo né più né meno che prescindere dalla conoscenza di
tecniche e strumenti che da sempre accompagnano l’uomo, a partire dalle pitture
rupestri.
D’altro canto, la fretta è cattiva consigliera e fino a che
non siamo morti siamo liberi (o dovremmo esserlo) di continuare a curiosare nel
mondo, sperimentando noi stessi e l’ambiente che ci circonda, naturale,
antropizzato o virtuale che sia.
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