mercoledì 14 dicembre 2016

Lo Struwwelpeter ed altre facezie che spiegano la psicanalisi

Quando ero piccola e sedevo sulle ginocchia di mia nonna tedesca, la Omi, era di solito perché pochi minuti prima lei si era avvicinata alla libreria a muro (quella in legno, a sinistra della portafinestra che dava sul balcone) e da lì aveva estratto amorevolmente un libro di fiabe per bambini. Naturalmente, in tedesco. Preferibilmente, in caratteri gotici.

C'era un'oca, in un libro verde ed uno arancione. C'era Samniklaus, che con gli angioletti preparava i regali per i bambini. C'era Pu der Bär (in inglese Winnie-the-Pooh), che camminava con Ior, Känga, Tigger, Kaninchen e via nel Hundertsechzig-Morgen-Wald (letteralmente il bosco delle 160 mattine, che da noi - e in Inghilterra soprattutto - era meglio noto come il Bosco dei Cento Acri). Oppure... Oppure c'era lo Struwwelpeter.

Ecco, il libro dello Struwwelpeter ancora oggi rappresenta nell'immaginario mio e delle mie sorelle la ragione più profonda del nostro rapporto così intimo con tanti specialisti della psicologia e della psicanalisi. D'altro canto, una veloce carrellata alle immagini sobrie potrebbe rapidamente convincervi che no, non servono altre parole ma solo amore e comprensione (merita menzione il fatto che il sottotitolo del medesimo libro sia "Storie buffe ed illustrazioni divertenti", a riprova che i tedeschi qualche problema serio ce l'hanno rispetto al senso dell'umorismo, dove vincono gli inglesi).

Invece, nell'etterna coazione a ripetere (scritta con due t, come Dante nella Commedia), in questo mio 42esimo genetliaco, ho deciso che è venuto il momento di fare pace (o riaprire il dialogo, almeno) con quella lingua ossuta, buona solo "per dar ordini ai cani" (secondo la definizione di mio padre, in fondo autorevole madrelingua).
Ed in un mondo contemporaneo che alterna, per i bambini, ovatta pastellata e pokemon assassini o spietati videogiochi di guerra che confondono la morte con la finzione, io ho pensato che conviene - sì CONVIENE - riprendere il contatto con quel filo rosso che infondo era truce, ma ci insegnava a non mangiarci le unghie ed a finire la zuppa.

Proprio così: si nasce incendiari e si muore pompieri.

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