lunedì 5 settembre 2016

Alcune considerazioni sul disegno tecnico ed artistico

Prenderò spunto da una definizione di “disegno” e di “disegno tecnico” che ci offre l’Università degli Studi di Perugia, nelle sue dispense a cura del prof. Francesco Bianconi, giusto per capire di che cosa stiamo parlando. Ci sono comunque migliaia di definizioni, tutte parimenti valide.
Il disegno è una rappresentazione bidimensionale, per mezzo di linee e segni, di un oggetto reale o immaginario.
Il disegno tecnico invece è uno strumento che permette, attraverso un insieme convenzionale di linee, simboli ed altre indicazioni, di fornire delle informazioni sulla funzione, sulla forma, sulle dimensioni, sulla lavorazione e sul materiale relativi ad un determinato oggetto.
La differenza principale tra disegno artistico e disegno tecnico è che il primo è una forma di comunicazione, il secondo uno strumento per la trasmissione oggettiva di informazioni.


Questo tipo di schematizzazioni è utile al fine di generare delle categorie che effettivamente sussistono o per lo meno possono sussistere. Siamo circondati da disegni tecnici senza neanche accorgercene. Basta che andiamo ad Ikea per comprare un mobile ed avremo un libretto di montaggio, seriale, arido, che con segni grafici poco fraintendibili ci guida passo passo nella costruzione della nostra scaffalatura. Certo, guardando queste immagini, non ci verrebbe mai in mente di metterle in cornice e regalarle al nostro amato. Nessuno di noi, tuttavia, dovrebbe mostrare particolari dubbi nel seguire le procedure di montaggio. In linea di principio, quindi, possiamo dire che ci aspettiamo da un disegno tecnico che sia asciutto, privo di colore, con una quantità di informazioni scritte minima ma mai completamente assente (perché integrano le informazioni puramente grafiche) e soprattutto tendenzialmente indecifrabile. Già. Tecnico. Quindi per tecnici. Nell’affascinante distinguo in cui riduciamo tutto nella nostra vita, o facciamo parte di una qualche categoria di tecnici, o quel disegno non è per noi. Infatti, su Facebook o in generale sui social network è consueto trovare la frustrazione di persone che non sono riuscite a montare la loro scaffalatura.

Guardiamo ad un altro disegno tecnico e vediamo se effettivamente è così neutro dal punto di vista delle emozioni che trasmette.
Leonardo da Vinci secondo me non voleva essere ricordato come quello che ha dipinto il cenacolo o la Gioconda: lui era un ingegnere cresciuto in bottega, uomo – come si diceva tempo fa – di pratica e di grammatica.
Non è dunque necessario scomodare il suo uomo rinascimentale, presente come stampa in tanti studi ed in tante case qua e là nel mondo, per capire come un modello, una rappresentazione tecnica possa essere ricca di fascino, d’ingegno e di bellezza. Tutt’altro che arida, insomma.

Se saltiamo in un altro campo, la moda, è assolutamente interessantissimo guardare come l’intuizione del grande stilista (che per lo più è un grande artista) si trasformi pazientemente attraverso successivi passaggi fino al cartamodello dell’abito.

Osserviamo questa incredibile donna di Chino Bert. 

L’eleganza regale che esprime e la chiarezza del disegno permettono contemporaneamente di considerarlo come un’opera d’arte ed una efficace indicazione di natura sartoriale sulle stoffe, sulle passamanerie e sui corredi che fanno di una mise, appunto, un’opera d’arte.

Attraverso la sua intuizione artistica ed i suoi canoni di bellezza, tuttavia, con i suoi figurini l’artista può ovviamente rappresentare anche realizzazioni prêt-à-porter: abiti, tailleur, cappotti o mantelle pronti effettivamente a tradursi poi in cartamodelli, per i quali basta cercare da un giornalaio un po’ fornito una rivista di moda, dove vengono riprodotti abiti “tipo” qualcuno o “tipo” qualcosa.


Ad esempio, vediamo la differenza tra un modello Chanel realizzato ed il suo cartamodello.


Lo avreste riconosciuto guardando solo il disegno “tecnico”? Forse, effettivamente, no. Perché il disegno tecnico è un’astrazione, un modello o secondo Claude Raffestin, “un sistema coerente di dimenticanze” che necessariamente enfatizza alcuni aspetti per trascurarne completamente altri.

Allora questo ci porta a fare alcune considerazioni che prima di riguardare la distinzione tra disegno artistico e disegno tecnico si concentrano a monte, nella differenziazione tra arti pure ed arti applicate, che solo dopo si traduce in una diversificazione tra tipologie di rappresentazione (e non solo necessariamente grafica).

Ad ogni modo, ciò che è giusto tenere in considerazione è che nell’uno e nell’altro caso non si può cedere all’”improvvisazione ignorante”: è in grado di improvvisare l’artista che alle spalle ha tendenzialmente una conoscenza delle tecniche che non lascia spazio al vuoto. Esistono certo delle eccezioni a questa regola, ma in quanto eccezioni sono poche persone a rappresentarle e statisticamente è bassa la probabilità che siamo proprio noi. Almeno questo per certo riguarda me. La curiosità ha sostituito il talento naturale e leggere e studiare, guardare filmati, intervistare tecnici ed artisti mi ha permesso lungo l’arco di una vita intera di accumulare un bagaglio di conoscenze senza a volte neanche rendermene conto.

La distinzione tra arte pura ed arte applicata tendenzialmente sta nell’intenzione insita nella rappresentazione. Perché stiamo facendo questo disegno? Chi lo deve usare? Come? Quanti pezzi voglio produrre? In quale contesto dovrà stare? Paradossalmente, ma neanche troppo, la costruzione di un’opera d’arte non appartenente alla sfera bidimensionale della rappresentazione grafica passa sovente quasi necessariamente attraverso una rappresentazione grafica di tipo tecnico. L’opera d’arte è la cupola del Bernini di Firenze, di Brunelleschi a Roma. Eppure hanno sudato questi architetti a tradurre su carta le loro idee – talvolta incredibilmente innovative – per portare le maestranze ad eseguire ciò che loro avevano in mente.
Diciamo dunque che in generale, chi vuole vivere una vita artistica nel campo delle arti visive dovrà – secondo me – conoscere le regole sia della composizione sia del disegno tecnico e soprattutto dovrà conoscere almeno l’esistenza delle diverse tecniche, a partire dalla matita, attraverso tutte quelle tradizionali per finire con quelle più innovative e con gli strumenti soliti o più tecnologici, come i programmi CAD o di fotoritocco. Non devi necessariamente avere un computer o una tavoletta grafica per essere un buon acquarellista, ma il mio consiglio oggi è che prescindere dalla tecnologia ti taglia fuori dal mondo né più né meno che prescindere dalla conoscenza di tecniche e strumenti che da sempre accompagnano l’uomo, a partire dalle pitture rupestri.

D’altro canto, la fretta è cattiva consigliera e fino a che non siamo morti siamo liberi (o dovremmo esserlo) di continuare a curiosare nel mondo, sperimentando noi stessi e l’ambiente che ci circonda, naturale, antropizzato o virtuale che sia.

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